Addio al monachesimo: il nuovo valore del matrimonio in Lutero e nella Riforma – Milano
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Negli eventi dedicati al 5° centenario della Riforma Protestante non ci si è molto soffermati su un aspetto che allora ebbe invece grande rilievo: il celibato dei sacerdoti e il significato del matrimonio per i credenti. La Riforma protestante aveva radicalmente messo in questione non tanto il celibato in sé quanto la sua imposizione per legge a chi volesse esercitare un ministero nella chiesa. La principale confessione di fede protestante, l’Augustana del 1530, scritta da Melantone, dedica un intero paragrafo al «matrimonio dei preti».
Dopo aver constatato che è «stupefacente che contro nessun’altra cosa si appunti maggior crudele rigore, che contro il matrimonio dei preti», si illustrano i motivi biblici e storici che hanno indotto le chiese della Riforma a ripristinare la possibilità per i ministri della chiesa di sposarsi, «conservando - dirà ancora Calvino nel suo Vero modo di riformare la chiesa - la pura castità della mente e del corpo nel santo matrimonio».
Ma nessuno come Martin Lutero ha tessuto un elogio così convinto del matrimonio, restituendogli, in un tempo che lo considerava inferiore all’ideale cristiano del celibato, la dignità massima di “opera di Dio”. La recente pubblicazione* per la prima volta in lingua italiana di due testi di Lutero, ci consente di approfondire il tema con il curatore del volume.
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